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India: Dicembre 2005 - Gennaio 2005

Tutti i colori del Rajasthan

India: Dicembre 2005 - Gennaio 2005

di Manuela Campanale
manuela.campanale@unipd.it

Note legali: Testi e immagini sono di esclusiva proprietà dell'autrice, non è consentito riprodurre, in toto o in parte tale materiale senza il consenso della stessa.


sguardi

Nella mia vita giovanile somigliavo a un fiore - a un fiore che possa, nel suo rigoglio, perdere senza pena uno o due petali, quando la brezza primaverile picchia limosinante alla sua porta.
Or, sul tramonto, somiglio a un frutto, che non ha nulla da prodigare, e vuole offerirsi intero, cosi com'è, grave di dolcezza.
Rabindranath Tagore


foto india


Una cosa è certa: un viaggio in India è un viaggio veramente indimenticabile poiché è un viaggio esaltante e deprimente al tempo stesso. E’ meraviglioso perché in India ci sono tante, ma veramente tante cose splendide ed inaspettate da vedere, i palazzi dei Maraja, i templi Jainisti, i Forti. Pur avendo girato abbastanza per il mondo, non avevo mai visto così tante cose tutte incredibilmente belle: il Taj Mahal, ad esempio, è indescrivibile ed è difficile pensare a qualcosa di anche lontanamente paragonabile. Ma un viaggio in India è anche terribilmente triste dato che, dal momento in cui ci si mette piede, si è catapultati in una realtà che per noi occidentali è a dir poco traumatica: in ogni momento e in ogni angolo delle strade si nota sempre qualcosa che sconforta. Storpi che chiedono l’elemosina, bambini bellissimi e sporchissimi che, assieme a mucche e cani, frugano nei cumuli di immondizie in cerca di cibo, famiglie intere che vivono sui marciapiedi o sugli spartitraffico senza niente, ma proprio niente, neppure una piccola tenda che funga da riparo. In ogni istante ci si sente sconsolati e impotenti oltre che immeritatamente privilegiati per aver avuto la fortuna di nascere nella parte “giusta” del mondo. Io sono andata in India consapevole di quello che avrei trovato, avendo una cugina suora che in India ha trascorso 10 anni della sua vita e che mi aveva quindi anticipato molte cose, ciononostante l’impatto iniziale con una realtà così dura è stato piuttosto devastante e ci sono stati dei momenti in cui bisognava estraniarsi dalla realtà per riuscire a non farsi sopraffare dalle emozioni e dallo sconforto.
Eppure, nonostante ci sia davvero tanta miseria, in nessun momento di questo viaggio ho avuto la sensazione che qualcuno volesse derubarci, in nessuna parte del mondo ho visto donne così belle e curate nei loro splendidi e coloratissimi sari, tutte estremamente dignitose nella loro povertà, anche quelle che svolgevano i lavori più umili, quelli da sempre riservati alla casta più bassa, quella dei paria ovvero degli “intoccabili”.

Siamo partiti per Dehli il 26 Dicembre, via Monaco, con Lufthansa, voli in perfetto orario, neanche una piccola turbolenza, servizio eccellente, arriviamo a destinazione alle 7 di mattina con mezz’ora di anticipo. Inaspettatamente Dehli è ricoperta da una cappa di smog. In aeroporto ci sta aspettando il signor Karni Singh del Popular India Vacations.
Una premessa: io odio i viaggi di gruppo per cui viaggio sempre organizzandomi per conto mio (il classico “fai da te”), ma l’India non è un paese che si può visitare in autonomia. Per fortuna esiste una validissima alternativa ai viaggi organizzati dai tour operators: ci si può rivolgere a delle ottime agenzie locali. Esistono infatti delle piccole agenzie indiane che propongono gli stessi giri dei tour operators, (ma ad un costo nettamente inferiore: si risparmia come minimo il 50%) in cui si ha a propria disposizione un auto fornita di autista e si viaggia quindi in autonomia, ma con qualcuno che conosce i posti e sa quindi dove portarti. Io mi sono rivolta al signor Karni Singh (e-mail: karni94@yahoo.co.in o indiakarni@hotmail.com) che mi era stato consigliato da un ragazzo italiano che avevo contattato attraverso il sito di Turisti per caso e posso dire che non potevo fare una scelta migliore! Lo consiglio vivamente a tutti quelli che hanno in programma un viaggio in India: il tour, cioè il giro del Rajasthan concordato preventivamente via e-mail, è stato organizzato alla perfezione nei minimi dettagli, noi non abbiamo avuto nessun tipo di problema, il nostro autista poi, Gajendra, era puntuale, gentile, professionale. Al mattino ci veniva a prendere in hotel, il giro era quello stabilito con il signor Singh in fase di prenotazione, ma poi si potevano concordare assieme gli orari o eventuali piccole variazioni del percorso. Gli alberghi (noi avevamo chiesto dei 4-5 stelle, ma si può alloggiare anche in hotel di lusso o più modesti) erano molto belli ed eleganti, pulitissimi, e tutto poi per una somma veramente irrisoria se paragonata a quella che chiedevano i vari Kuoni Gastaldi, Hotelplan ecc. per lo stesso identico tour. Noi abbiamo speso 500 Euro a testa per 12 giorni e la cifra comprendeva gli Hotel con pernottamento e prima colazione e l’auto con l’autista sempre a disposizione, benzina inclusa.
Come stavo dicendo, dopo aver cambiato allo sportello di una banca appena dopo il ritiro bagagli un consistente numero di Euro (1€ = 52 Rp) ci dirigiamo verso l’uscita dell’aeroporto dove Karni ci sta aspettando con un cartello dove è scritto il nostro nome. Dopo averci salutati ci porta subito alla nostra auto e ci presenta il nostro autista: Gajendra è un ragazzo di 30 anni, molto timido, educato e dai modi gentili. Partiamo subito, e anche Karni sale in auto con noi. La nostra prima destinazione è la città di Agra (nell’Uttar Pradesh) dove ci fermeremo a dormire. Appena usciti dall’aeroporto ci si rende subito conto che per un europeo sarebbe assolutamente impossibile guidare in quel traffico spaventoso.

scene di vita


Solamente al Cairo io ho visto qualcosa di paragonabile! Un vero delirio: automobili, biciclette, risciò, motociclette, tutti arrivano da tutte le parti e ognuno si fa strada come può suonando il clacson di continuo. Una persona abituata a guidare in Italia rimarrebbe inchiodata dal panico.
Lungo il tragitto per Agra ci fermiamo a visitare un primo tempio: bello ma niente di particolare rispetto a quello che vedremo poi durante il nostro viaggio. Facciamo tappa anche alla tomba di Akbar: splendida, ma nulla la può descrivere meglio della fotografia che vedete qui a fianco.
La temperatura è fantastica, intorno ai 28 gradi e si sta davvero bene. Apro una breve parentesi: noi in due settimane abbiamo sempre avuto giornate di sole con una temperatura ottimale, infatti Gennaio è il mese ideale per visitare l’India. Da Marzo in poi però le temperature salgono in picchiata fino a superare anche i 45 gradi a Giugno per poi riabbassarsi con l’arrivo delle stagione dei monsoni che portano grandi piogge.

monumento delhi

Raggiungiamo Agra nel pomeriggio e prima di recarci a vedere il Forte passiamo nel nostro hotel, il Clarks Shiraz (www.hotelclarkshiraz.com). Prendiamo possesso della stanza e paghiamo finalmente Karni che fino a quel momento non aveva voluto nessun acconto, (al momento della prenotazione via e-mail non mi aveva chiesto nemmeno il numero della carta di credito per tutelarsi, nonostante mi avesse procurato anche tutti i biglietti aerei per i voli interni). L’albergo è il classico hotel internazionale, pulitissimo, confortevole, ma anonimo. Dopo una veloce sistemata usciamo e ci dirigiamo verso il Forte, con il nostro Gajendra. Ogni volta che visiteremo un palazzo o un forte lui ci porterà sul posto e ci aspetterà in auto. Molte volte gli abbiamo chiesto se voleva venire con noi, ma ci ha sempre detto che non ne aveva molta voglia e preferiva riposarsi in auto. Il Forte di Agra è molto imponente e bello, anche se poi ne vedremo di migliori, ma la cosa più affascinante è che ci sono moltissimi visitatori indiani e alcune donne indossano dei sari talmente belli e sgargianti che molto spesso sono loro e non il Forte a calamitare la nostra attenzione. Dal Forte di Agra si può ammirare in lontananza il Taj Mahal, (il famosissimo mausoleo, simbolo dell’india, fatto erigere per amore da un imperatore in ricordo della moglie morta di parto nel 1631) che visiteremo il giorno successivo. E’ ormai sera e, finita la visita al Forte, ci congediamo da Karni che andrà a prendere il treno per Jaipur mentre Gajendra ci riaccompagna in albergo. Ci accordiamo con lui affinché passi a prenderci all’ora di cena. In realtà io sono stanca morta e crollo a letto per cui solo mio marito va con lui al ristorante.

taj mahal


Il mattino dopo, puntualissimo, Gajendra passa a prenderci alle 7.30 per portarci al Taj Mahal in modo da arrivare in tempo prima del sorgere del sole. Si deve parcheggiare l’auto a circa 2 km di distanza dal tempio e si percorrono questi ultimi chilometri su dei risciò trainati da biciclette. Sono sporchissimi, il proprietario di quello che è venuto a prenderci “pulisce” il sedile con uno straccio bagnato ancora più sporco cosicché alla fine il sedile non solo è sozzo ma pure umidiccio… Gajendra intuisce dalla mia espressione un po’ perplessa (e io non sono un tipo particolarmente schizzinoso) che non ho molta intenzione di sedermi e, gentilissimo, lo asciuga con uno straccetto pulito. Con poco entusiasmo finalmente mi siedo. Alle 7.30 di mattina fa piuttosto freddo, saranno circa 10 gradi, ma in breve per fortuna raggiungiamo l’ingresso del tempio. Per i non Indiani il biglietto è piuttosto costoso, 750 Rupie a testa, inoltre si viene perquisiti, le borse vengono aperte e controllate e per finire in genere si viene pure rispediti indietro a depositare cellulari e…caramelle…all’ingresso. Pare ci sia una grossa paura di attentati. Ed ecco finalmente il Taj Mahal: è una visione senza precedenti che lascia totalmente senza parole. Il sole sta sorgendo per cui lo vediamo cambiare colore: inizialmente il marmo appare dorato mentre diventa via via sempre più bianco man mano che il sole sale nel cielo.
Se da lontano è a dir poco spettacolare è da vicino che impressiona: il marmo è tutto intarsiato ed è di una bellezza senza paragoni. Giriamo per circa due ore fotografandolo da tutte le prospettive. Al ritorno, il tipo del nostro risciò dapprima ci dice che possiamo dargli quello che vogliamo, mentre due secondi dopo ci chiede esattamente il doppio della generosa mancia che gli abbiamo appena messo in mano… per cui ci viene il dubbio che gli stranieri qui siano considerati un po’ fessi.
Bisogna sottolineare una cosa: in ogni Tempio o Forte in cui siamo entrati c’erano sempre due prezzi esposti: quello per i visitatori di origine indiana e quello per gli stranieri che è circa 10 volte superiore. Un Indiano altrimenti non potrebbe pagare delle cifre tanto elevate (se paragonate ai loro stipendi). Gli stranieri inoltre, se vogliono poter usare la macchina fotografica o la videocamera, devono pagare anche una gabella aggiuntiva che si aggira mediamente attorno ai 4 Euro.
Gajendra ci riporta in hotel dove facciamo una abbondante colazione e riprendiamo i nostri bagagli: non c’è tempo da perdere perché la prossima meta è Jaipur, la prima città del Rajasthan che visiteremo. Lungo la strada ci fermiamo a Fathepur Sikri, città abbandonata, e poi visitiamo velocemente la moschea a fianco. Si subisce ovunque l’assalto dei venditori di cianfrusaglie e di pseudo guide. Non bisogna farsi impressionare o peggio, farsi saltare i nervi: è invece consigliabile fingere di non capire l’inglese, ma anche un gentile e fermo rifiuto basta a scoraggiarli dal continuare ad insistere. Gli Indiani sono talvolta un po’ insistenti, ma mai aggressivi o maleducati. Ci fermiamo per il pranzo lungo la strada, in un posto “classico” per turisti, anche perché non ve ne sono altri con uno standard di pulizia (almeno apparente) simile al nostro. Una parentesi: noi siamo vaccinati da sempre contro tifo ed epatite A. Abbiamo frequentato solo ristoranti indiani e mangiato, ovviamente, solo cibo indiano, peraltro buonissimo, scegliendo quasi sempre il menù vegetariano. Io ho mangiato spesso anche le verdure crude (che sono normalmente considerate un tabù), e sono sempre stata benissimo. Trovo abbastanza comico, andare all’estero e farsi mille paranoie dannandosi magari a cercare fast food o, peggio, locali con cibo italiano, a quel punto è meglio starsene tranquilli in Italia. Un’altra precisazione: Gajendra ha sempre mangiato assieme a noi, pranzo e cena, ed ovviamente abbiamo sempre pagato anche per lui. Lui all’inizio non ne voleva sapere e si faceva mille scrupoli per non gravare sul nostro bilancio, ma poi siamo riusciti a convincerlo che per noi era normale mangiare tutti assieme e che per noi la sua compagnia era un piacere, cosa che del resto era del tutto vera. Anzi, diciamo che io non gli avevo lasciato alternative, dicendogli che ci saremmo offesi molto se lui non avesse mangiato con noi, per cui da quel momento per fortuna non ha più opposto resistenza, anzi, ha iniziato a chiamarmi “my Boss” in modo scherzoso. In India un pasto in un ottimo ristorante costa dai 3 ai 6 Euro a persona, bevande comprese, per cui pagare per 10 giorni i pasti ad una terza persona non incide certo sul bilancio di un viaggiatore, mentre è un costo improponibile per un Indiano. Se voi appartenete alla categoria di quei penosi individui cinici e squallidi che lasciano l’autista ad aspettarli in auto mentre pranzano o cenano (sembra incredibile, ma purtroppo lo abbiamo visto con i nostri occhi, e anche spessissimo), allora non meritate il privilegio di vedere l’India, statevene a casa così almeno evitate di dare agli Indiani un’idea sbagliata degli Italiani. Gajendra ci raccontava senza alcun rancore che la stragrande maggioranza degli stranieri è proprio così ed ogni ulteriore commento è superfluo.
Arriviamo a Jaipur (detta anche la città rosa per il colore delle case della zona vecchia) nel tardo pomeriggio e scopriamo con grande gioia che il nostro hotel, il Shapura House (www.shapurahouse.com) è strepitoso in quanto si trova in una Haveli (le Haveli sono delle case antiche e bellissime appartenute ai ricchi). Ceniamo al solito tutti e tre (e benissimo) nel posto più “in” di Jaipur, il Niro’s e paghiamo in tutto 780 Rupie (15 Euro).

delhi


Al mattino partenza alle 8 per andare a vedere Hana Mahal, cioè il bellissimo palazzo dei venti, di cui resta però solo la facciata esterna. Ci dirigiamo poi verso l’Amber Fort. Arrivati all’ingresso si scende dall’auto e l’ultimo tratto del percorso viene completato a dorso di elefante. Il forte è immenso, davvero stupendo, con zone decorate ed intarsiate che lasciano a bocca aperta. E poi pitture, mosaici, un vero spettacolo. Sulla via del ritorno facciamo sosta in una piazzola dove un incantatore di serpenti sta suonando per il suo cobra. Mi fa cenno di avvicinarmi a lui per fare una foto, ma preferisco lasciargli solo una mancia e declinare l’invito… per il bene del cobra che nel caso in cui mi avesse morso…
Dopo l’Amber Fort si fa tappa al forte di Jaigarth dove troneggia un cannone che, ci racconta un soldato, ha una gittata di ben 22 miglia.
La terza tappa è il maestoso complesso del City Palace. Vi sono cortili interni, giardini e begli edifici. Andiamo a vedere una collezione di scialli e costumi reali e poi in un altro edificio una mostra di dipinti e manoscritti. Nei cortili del complesso si possono notare i recipienti in argento utilizzati da un ex Maraja per trasportare in Inghilterra l’acqua del Gange. Proprio di fronte al City Palace sorge l’osservatorio astronomico fatto costruire da un altro Maraja appassionato di astronomia. Sarà che non abbiamo capito molto, ma lo abbiamo trovato piuttosto deludente.
Dopo un buon pranzo all’Indiana Restaurant ci fermiamo in un’oreficeria poco distante alla ricerca di un paio di orecchini in argento. Ce ne sono di molto belli: peccato che l’astuto e disonestissimo padrone del negozio aggiunga uno zero al prezzo in Rupie riportato sul cartellino (pensando che non me ne accorgessi). Quando esco dal negozio visibilmente seccata e dicendogli che nemmeno in Italia l’argento costa così caro, rimane di sasso e, vedendo sfumata la sua vendita, tenta di recuperare la situazione offrendoci da bere del the. Ma ormai è troppo tardi: non voglio avere a che fare con un imbroglione per cui salgo in auto senza neanche rispondergli. L’acquisto è rimandato sperando di non incappare in altri truffatori! Per consolarmi mi faccio accompagnare da Gajendra in un altro negozio dove acquisto pashmine e sciarpe di seta da regalare. Una serie di braccialetti indiani completano lo shopping. Prima di portarci in albergo, Gajendra ci fa visitare il tempio Biria Lakshmi, splendido, in marmo bianchissimo, ma io sono maggiormente attratta dalla bellezza dei sari di molte signore e dalla loro grazia nel portarli.
La cena è a casa di Karni che ci aveva invitati il giorno precedente. In realtà lui non è presente perché è in giro per lavoro per cui ci aspetta la moglie Amita con una delle due figlie: Mahima. Portiamo una scatola con dei bellissimi dolci (i dolci in India hanno un aspetto stupendo) e delle rose rosse, trovate con molta fatica in quanto vengono messi in vendita anche dei fiori parzialmente appassiti. Amita ci accoglie con calore nonostante si capisca che è una persona molto riservata. E’ davvero molto bella e ha dei modi di fare signorili: ci offre un the e delle “nuvole di drago” cucinate al momento. Mahima, sei anni, è una bambina sveglissima e super intraprendente. Parla molto bene inglese ed è molto curiosa e estroversa per cui fa subito amicizia con noi. La cena è veramente ottima: una minestra squisita, riso con diverse verdure e del pane fatto in casa, completamente diverso dal nostro. Al momento di salutarci Amita ci regala un copriletto in cotone stampato. Gajendra ci sta aspettando per riportarci in hotel e commentiamo con lui di come Karni sia fortunato ad avere una così bella famiglia.

monumento

Il giorno successivo si parte presto, alle 8 di mattina: destinazione Bikaner. Ci fermiamo a pranzo in un ristorante e noto che nell’annesso negozio vendono a 35 Euro le stesse pashmine che io ho pagato 5 Euro davanti al Palazzo dei Venti. E’ incredibile vedere come nei posti “per turisti” i prezzi lievitino di n volte! Lungo la strada per Bikaner ad un certo punto incontriamo Karni che sta facendo picnic con una comitiva di sei signore italiane di Cuneo che avremmo modo di conoscere poi. Raggiungiamo Bikaner nel primo pomeriggio. Scopriamo che il nostro hotel, il Laxmi Niwas Palace (www.laxminiwaspalace.com) si trova all’interno di un maestoso palazzo di Maraja. Scaricate le valigie scendiamo velocemente perché Gajendra ci sta già aspettando per la prima tappa: il forte Junagarth. Nel frattempo, con mio enorme disappunto, scopro che il rullino sulla macchina fotografica si è svolto completamente e non si può più riavvolgere, quindi è da buttare! Mi secca tantissimo, soprattutto perché lungo la strada Gajendra si era fermato parecchie volte perché io potessi fotografare le persone e tutto si è poi rivelato inutile! Sono piuttosto nera e Gajendra cerca di consolarmi promettendo che mi farà fare foto ancora migliori. Sarà anche vero, ma intanto quelle sono andate perse.
Anche questo forte è stupendo, ci sono molte stanze affrescate ed una serie di cortili interni. La guida Lonely Planet dice addirittura che questo sia il Forte più bello del Rajasthan.
Gajendra ci propone di accompagnarci fuori città, ad alcuni chilometri da Bikaner, a visitare il famoso tempio dei topi, il Karni Mata Temple a Desnok. Il tempio non ha assolutamente nulla di attraente, ma ha un’unica peculiarità e cioè che essendo dedicato ai topi ve ne dimorano a centinaia. Ma la curiosità prevale sul senso di repulsione per cui decidiamo di andarci ugualmente. Come in tutti i templi anche qui bisogna entrare scalzi e, dato che camminare in mezzo ai topi è una cosa piuttosto poco piacevole, ci salviamo infilandoci uno sopra l’altro due paia di calzini così una volta usciti dal tempio il secondo paio finirà direttamente nella spazzatura. Il tempio in effetti non è niente di speciale, frotte di topolini gironzolano innocui, ma si sente un certo fetore per cui non ci soffermiamo troppo e all’uscita ci sbarazziamo immediatamente dei nostri ormai sozzi calzini.
Veniamo circondati da bambini che chiedono caramelle e dolcetti per cui assieme a Gajendra ne comperiamo un sacchetto e le distribuiamo un po’. Sulla via del ritorno ci fermiamo a visitare un piccolo tempio Jainista meravigliosamente decorato all’interno.
Salendo in cima al tempio c’è un belvedere dal quale si gode una spettacolare vista su Bikaner illuminata dagli ultimi raggi di sole dato che è ormai l’ora del tramonto. La cena al ristorante dell’Hotel Sagar è ottima. Degli ambulanti fanno anche un piccolo spettacolino di marionette che poi vendono: io ne compero due per poche Rupie.

monumenti india

Il giorno seguente è ormai l’ultimo giorno del 2005. Si parte da Bikaner al mattino presto: destinazione Jasalmer. Lungo a strada ci fermiamo spesso perché quando vedo dei bambini o delle donne chiedo a Gajendra di poterli fotografare. Nelle zone rurali le persone parlano per lo più solo Indi per cui Gajendra ogni volta scende, parla con loro e chiede il permesso perché io possa fare loro delle foto, normalmente in cambio di poche Rupie, di una penna, dei dolcetti. Dopo la solita pausa per il pranzo arriviamo all’Hotel Rang Mahal (www.hotelrangmahal.com) che si trova anch’esso all’interno di un palazzo di Maraja.
Da qui partiamo per la nostra escursione nel deserto, dove trascorreremo la notte di capodanno. Ritroviamo le sei signore di Cuneo e partiamo tutti assieme con una jeep. Dopo una cinquantina di chilometri, verso sud, raggiungiamo il Fifu Resort Desert, (www.fifutravel.com/fifu-desert-resort.html) se resort si può chiamare… Ci offrono dell’acqua che la stragrande maggioranza delle persone non beve per paura che magari non sia di bottiglia e sia infetta (io ovviamente, al solito, me ne infischio e la bevo). Lasciamo i nostri pochi bagagli e ripartiamo. Dopo pochi chilometri ci fermiamo per fare visita ad un insediamento di zingari.

abiti e colori

Ci sono delle case in mezzo al deserto, tanti bambini che, al solito, ci chiedono caramelle. Anche qui le donne sono molto curate. Mi chiedono se ho dei rossetti usati, ma purtroppo non ho nulla con me. Se avessi potuto immaginarlo avrei portato i rossetti che non uso perché magari non mi piace più il colore o semplicemente perché ne ho talmente tanti… peccato. Raggiungiamo le dune ed aspettiamo il tramonto in un’atmosfera molto suggestiva anche se le dune del Namib sono decisamente tutt’altra cosa.

Ritorniamo al Fifu dove ci vengono assegnate le stanze, disposte in semicerchio attorno ad un cortile: non esiste la corrente elettrica per cui non c’è luce e nelle stanze ci sono solo delle reti molto dure con un materasso, un cuscino e una coperta. Di lenzuola e affini proprio non se ne parla e di pulizia pure, dato che tutto puzza leggermente. Non diciamo poi dei bagni: ce ne sono solo due in comune per tutti e sono pure dall’altra parte del cortile! Definirlo un posto spartano è a dir poco un eufemismo! Per una che nella sua adolescenza non ha mai fatto nemmeno un giorno di campeggio perché era troppo schizzinosa non è proprio un sogno, ma fuori dall’Europa mi adatto sempre a tutto, con grande stupore di chi invece pensa di vedermi crollare. Posso avere nella stanza gechi, lucertole, ragni, scarafaggi, topi… io non batto ciglio, non c’è nulla che riesca a fermarmi o a scoraggiarmi dato che la voglia di viaggiare è più forte di qualsiasi inconveniente.
Arriva il momento della cena, all’aperto. Siamo in mezzo al deserto ed anche la temperatura comincia a scendere in picchiata. Sapendolo, siamo tutti ben attrezzati con piumini, inoltre è stato allestito un falò in mezzo al cortile per cui ci si siede tutti intorno al fuoco e per chi ne ha bisogno ci sono a disposizione anche delle coperte. Oltre al nostro gruppo di Italiani ci sono diversi stranieri, ma solo noi e le altre sei signore italiane ci fermeremo a dormire lì. In una specie di cucina viene preparata la cena, anche se in realtà la maggior parte delle cose sono state portate lì già pronte. La cena non è male, c’è riso, carne, alcune cose fritte, verdura cruda. Al solito mangio tutto anche perché quando si ha fame è inutile mettersi a fare i difficili.
Comunque bisogna sottolineare che nessuno di noi è stato male in seguito a quello che ha mangiato quella sera. Si aspetta il nuovo anno attorno al fuoco mentre un gruppo di ragazzi ci intrattiene ballando e cantando. Allo scoccare della mezzanotte si vedono in cielo anche dei fuochi d’artificio. Si dorme completamente vestiti, intendo dire che io ho dormito con anche gli scarponi addosso, con una temperatura che nella stanza raggiungeva a stento i 10 gradi.

i colori in india

tramonto nel deserto

villaggio indiano

Per fortuna la notte passa presto e al mattino ci ritroviamo tutti devastati da una notte insonne davanti ad una tazza di the, del pane tostato e del burro. Le persone che gestiscono il resort effettivamente hanno fatto del loro meglio per farci stare a nostro agio, ma i mezzi che avevano a disposizione erano pochi. Secoli di agi hanno lasciato il segno su di noi Europei, per cui quando risaliamo sulla jeep per tornare al nostro adorato hotel quattro stelle ci sembra di rinascere.
Dopo circa un’ora di viaggio raggiungiamo nuovamente il Rang Mahal e prendiamo possesso di una vera stanza, con tutti i confort. Sembra così bello avere un letto “vero”, pulitissimo, ed un bagno con una bella doccia calda! Ma non c’è tempo da perdere perché Gajendra scalpita dato che ci deve portare al Forte che domina la città. Più che un forte è una città nella città, dato che (unico caso in India) è abitato.


Prima di raggiungere il Forte, Gajendra ci dice che dobbiamo passare a prendere la persona che ci farà da guida per quel giorno. Siamo un po’ stupiti della cosa, ma tant’è. Aspettiamo alcuni minuti fermi a lato di una strada ed ecco arrivare Jey, la nostra guida. E’ un delizioso ragazzo di 24 anni che studia Storia dell’Arte e che parla benissimo inglese. Ci racconta che accompagna i turisti per riuscire a mantenersi agli studi. E’ molto sveglio, gentile e simpatico, una bella persona veramente. Raggiungiamo l’entrata del Forte. Gajendra si ferma ad aspettarci in auto e noi proseguiamo a piedi con Jey.

Entrando nel Forte, Jey ci spiega molte cose. Il Forte è una piccola città: ci sono vicoli, botteghe, bancarelle, mucche… con la logica conseguenza che per le strade c’è una notevole sporcizia. Sarebbe incantevole se fosse pulito, ma di fatto invece è sporchissimo.
Ci rendiamo conto anche di come sia indispensabile essere accompagnati da una guida indiana per non essere assaliti da venditori di ogni genere. Jey ci mostra la dimora del re e delle regine, ci porta all’interno di un tempio giainista. Tentiamo di entrare nel museo ma è troppo pieno per cui dobbiamo rinunciare.

citta india


E’ ormai l’ora di pranzo, e dopo aver insistito molto convinciamo anche Jey a venire a mangiare con noi. Si va al ristorante Trio, si mangia molto bene, ma il servizio è lentissimo, soprattutto considerando che abbiamo tutti e quattro una gran fame! Dopo pranzo visitiamo invece 3 Haveli fatte costruire un tempo da ricchi mercanti di Jasalmer. Davanti alla prima la Salim-Singh-ki-Haveli, che vediamo solo dall’esterno, una bella ragazza molto ben agghindata con un bambino in braccio si fa fotografare per poche Rupie.
Passiamo poi alla seconda Haveli Nathind-ki-Haveli che ospita attualmente un primo ministro ed è anch’essa molto bella. L’ultima è la Patwan-ki-Haveli che si trova in un vicolo molto stretto. Jey ci racconta che Indira Gandhi fece addirittura abbattere un edificio di fronte a questa Haveli per permettere ai turisti di riuscire a scattare delle belle foto dal davanti e non delle foto prese dal basso… Questa famosa Haveli è stata fatta da 5 fratelli, una parte della casa è abitata, mentre una parte è aperta ai visitatori. Dal tetto si gode un’incredibile panorama sulla città. Finita la visita al Forte raggiungiamo Gajendra che ci porta al lago artificiale che non è assolutamente nulla di speciale, ma ha un’importanza storica in quanto una volta riforniva d’acqua tutta la città.
Chiedo a Jey di portarmi a comperare delle cose in argento. Lui mi spiega molto tranquillamente e sinceramente che se andremo assieme, lui riceverà una percentuale su quello che io acquisterò e che quindi lo pagherò un po’ di più. E’ la prima volta che all’estero qualcuno mi dice questa cosa. E’ ben evidente che le guide prendono ovunque una percentuale, ma mai nessuno si era sognato di ammetterlo. La sua onestà nel raccontare queste cose è molto apprezzabile per cui decido comunque di farmi accompagnare da lui e così tutti e quattro raggiungiamo un’oreficeria che si trova nascosta tra i vicoli. Il padrone, molto gentile, mi mostra decine di orecchini, ci offre del the e alla fine esco dal negozio con tre paia di orecchini ed uno strepitoso girocollo lavorato a mano in argento, corallo rosso, giada e lapislazzuli, bellissimo!
La splendida giornata si conclude con una cenetta al Golden Fort. Il posto non è molto bello ma la cena è davvero gustosa e la compagnia proprio piacevole. Jey ci racconta un sacco di cose sui loro usi e costumi che per noi hanno dell’incredibile come ad esempio che a tutt’oggi sono ancora i genitori a scegliere il marito o la moglie per i figli. Persino per un ragazzo emancipato come lui che frequenta l’università e vive in un collegio! I suoi non l’hanno ancora fatto ma la moglie non se la potrà scegliere di certo lui. L’età media a cui le donne si sposano è 18 anni mentre è 25 per gli uomini. Gli sposi normalmente si vedono per la prima volta solo il giorno del loro matrimonio!!!! Jey è sinceramente commosso quando lo salutiamo e gli diamo una buona mancia. Ci ringrazia più e più volte per averlo invitato a mangiare con noi ed “averlo fatto sentire un amico”, ci dice. Pazzesco, anche lui ci racconta che solo una volta su 100 succede! Come fargli capire che in realtà siamo noi che lo ringraziamo e gli siamo debitori per il tempo che ci ha dedicato al di fuori del suo normale orario di lavoro e per tutte le cose interessanti che ci ha raccontato?

sorrisi

E’ ormai il 2 Gennaio e siamo in partenza per Jodhpur.
Tentiamo al solito di fermarci lungo la strada per fare delle foto, ma siamo letteralmente assaliti dai bambini perché tutti, ma proprio tutti, vogliono essere fotografati. Dobbiamo riparare in auto e ripartire! Ci fermiamo più avanti in una scuola. Parliamo con i maestri, diamo loro caramelle e penne e visitiamo le classi. Gli alunni sono molto educati ma al tempo stesso incuriositi da noi. Lungo la strada mi fermo a fotografare una bambina che porta una grossa brocca in testa. La foto che ne risulterà è molto bella ed ora il suo ingrandimento è appeso di fronte a me nel mio studio. Anche a lei diamo biscotti e caramelle.
A forza di fermarci raggiungiamo Jodhpur che sono ormai le 14.00 e non abbiamo ancora pranzato. Tentiamo di mangiare al ristorante On the Rocks, piuttosto rinomato, ma è strapieno e ci dicono che c’è almeno mezz’ora da aspettare. Troppo tempo e troppa fame! Ripieghiamo su una pasticceria vicina e ci prendiamo una fetta di strudel!!!(fantastico) e un dolce con panna ed ananas, (anche questo divino). Gajendra ci porta al nostro Hotel, il Ranbanka, (www.ranbankahotels.com) che si trova proprio a pochi passi dal ristorante. Consegna della stanza e poi via di corsa verso il famoso Forte Meherangarh. E’ un forte maestoso che domina la città dall’alto di una rocca alta 125 metri. Prima di raggiungere il forte però Gajendra devia verso sinistra e ci porta a visitare lo splendido Jaswant Tada, un bellissimo tempio bianco.
Lungo la strada di accesso una bambina balla forzatamente per i turisti mentre il fratellino suona, sotto l’occhio vigile del padre. Gli occhi tristi di questa piccola ci turbano non poco e cerchiamo di alleggerire almeno un po’ la nostra coscienza regalandole delle Rupie e dei biscotti. Visitato il tempio raggiungiamo finalmente il Meherangarh. L’ingresso costa 250 Rupie, ma è compreso l’uso di un comodissimo sistema di audioguide. Davanti alle cose più importanti è posto un numero che digitato sulla propria audioguida dà l’opportunità di sentire un’accurata descrizione in italiano di ciò che si sta vedendo. Inutile aggiungere che anche questo Forte è splendido! Per visitarlo si impiegano circa due ore.


All’uscita, camminando lungo il muro più esterno del Forte si gode di una spettacolare vista sulla città e sulle case blu che la caratterizzano (da cui il nome di città blu).
Finita la visita torniamo in città e ci facciamo portare nella zona dei bazar. Acquisto una serie di braccialetti di ogni colore e delle cose antiche in un bel negozio il cui proprietario conosce bene l’Italia perché ci viene spesso per lavoro. Mentre camminiamo lungo la strada veniamo avvicinati da una gruppetto di bambini che ci chiedono caramelle. Purtroppo le abbiamo lasciate in auto, ma Gajendra dice loro di seguirci: solo due di loro lo fanno. Sono un maschietto di circa sei anni con degli occhi vivacissimi e una bambina più grande. Entrambi trascinano un saccone di plastica in cui infilano dei pezzi di carta che raccolgono per strada. Arrivano saltellando fino all’auto, diamo loro le caramelle ed entrambi ringraziano con le mani giunte ed un inchino. Il più piccolo fa tanta tenerezza ed è veramente terribile pensare che un bambino tanto intelligente e vivace sia costretto a girare e chiedere l’elemosina anziché poter studiare e giocare come sarebbe nel suo diritto. Io di solito non amo molto i bambini, ma quel piccolo Indiano mi ha talmente colpita che se avessi potuto lo avrei portato via con me per sempre. Gajendra mi vede intristita e gli spiego che vorrei dargli almeno dei soldi, ma lui mi risponde che è meglio non farlo altrimenti i genitori di quei piccoli li manderanno sempre ad elemosinare, pensando che sia molto più redditizio che mandarli a scuola. Alla fine mi convince solo a metà per cui chiedo ai due bambini di mettersi in posa per una foto in modo da poter dare loro delle Rupie non come elemosina ma come ricompensa. Anche questa foto, a cui chiaramente sono particolarmente affezionata, è ora appesa sul muro davanti alla mia scrivania.
A malincuore ci congediamo da quei due sfortunati bimbi.


A distanza di un anno e con quella foto sempre davanti agli occhi mi chiedo ancora come possa esserci tanta ingiustizia e disparità di diritti: i bambini che nascono in Italia e in tutti i paesi ricchi hanno di tutto e di più, giocattoli, cibo, caramelle, e non sono mai contenti di niente perché non sanno apprezzare nulla; i bambini che nascono in India invece molto spesso non hanno neanche cibo e un tetto sotto cui dormire e basta pochissimo a renderli felici.
La sera si cena tutti assieme all’On the Rocks, noi, Gajendra, le sei signore di cuneo che nel frattempo sono arrivate e alloggiano nel nostro stesso albergo ed il loro autista. La cena è come al solito ottima ed economica.

volti india

Il giorno successivo si parte alle 8.30 per raggiungere Udaipur. Ci sono parecchie ore di strada per cui è opportuno sbrigarsi. Facciamo solo una veloce sosta per mangiare e accade una cosa veramente strana. Io e mio marito ci sediamo al tavolo mentre Gajendra cerca parcheggio. Nel frattempo arriva il cameriere che ci chiede cosa vogliamo ordinare. Gli diciamo di tornare tra un po’ perché stiamo aspettando il nostro autista. Lui ci risponde che gli autisti non mangiano ai tavoli, ma nel retro delle cucine, allora io gli rispondo che mi dispiace, ma noi siamo abituati a mangiare con lui e che se non va bene ce ne andiamo anche noi. Nel frattempo arriva Gajendra. I due si parlano in Indi per cui ovviamente non capisco assolutamente nulla di quanto si dicono. Gajendra ci dice poi che il cameriere gli ha detto che è fortunato ad essere con noi e che può mangiare, ovviamente, ci sarebbe mancato altro! Al momento del conto un’altra sorpresa, piacevole però questa volta: ci fanno pagare solo per due persone!
Proseguiamo verso Ranakpur dove ci fermiamo per vedere dei templi giainisti. Il più importante e bello è il Chaumukha Temple. E’ in marmo bianco ed è costituito da 29 sale sorrette da ben 1444 colonne tutte intarsiate e tutte diverse tra loro. A breve distanza c’è anche il Sun Temple che è molto più piccolo, bello, ma neanche lontanamente paragonabile all’altro. Visitati i due templi il viaggio prosegue lungo una strada che si inerpica sulla montagna. Il paesaggio è veramente molto suggestivo ed è tutto un susseguirsi di prati, boschi, laghetti. E’ tutto talmente pulito ed ordinato che non pare nemmeno più di essere in India, se non fosse per le donne che sfoggiano ovunque i loro coloratissimi sari. Incontriamo tre belle signore che reggono sulla testa degli enormi cesti.

Le fotografo ed una di queste mi dice che vorrebbe venire a vivere nel mio paese.

portatrici indiane

balli e danze indiane

Raggiungiamo l’Hotel Ram Pratap Palace (www.rampratap.com) che si affaccia sul lago. E’ più bello fuori che dentro. Tentiamo di cenare al Lake Palace, ma Gajendra telefona e gli dicono che non c’è posto. Ripieghiamo sull’Authqi che gode di un’incantevole veduta sul lago. E’ tutto molto suggestivo, ma il cibo è mediocre, infatti ci sono solo turisti, la gente del posto si guarda bene dal cenarvi. Bisogna sottolineare che Udaipur in generale è molto più pulita delle altre città visitate prima ed anche il traffico è meno caotico.
Alle 9 di mattina siamo davanti al City Palace: splendido. Andiamo fino in fondo per fotografare il lago e poi all’interno del palazzo. Le stanze sono piene di decori, alcune ricordano quelle dei castelli di Ludwig di Baviera. Ci sono anche molti quadri con miniature. Torniamo da Gajendra e gli diciamo che vogliamo fare anche un giretto nel piccolo mercato che si trova lungo la strada. Il giro in realtà è brevissimo perché non c’è assolutamente nulla di attraente, solo orrenda paccottiglia per turisti. A mezzogiorno torniamo in albergo e pranziamo in terrazza. Nel pomeriggio abbiamo il volo per Dehli.
Quando chiediamo a Gajendra se è contento di tornare a casa e rivedere la sua famiglia ci dice un sì poco convinto e noi scherzando gli facciamo notare che non dimostra moltissimo entusiasmo. Ci risponde allora che gli dispiace molto lasciarci perché era stato molto bene con noi. Ci rendiamo conto che per lui era effettivamente importante poter pranzare e cenare sempre, certe volte non ci si rende conto che delle cose che per noi passano in secondo piano perché le diamo per scontate, per altre persone invece sono importanti. Ci accompagna in aeroporto ed un ragazzino ci prende subito i bagagli e va a fare il check in per noi. Ci congediamo calorosamente da Gajendra dandogli una mancia sostanziosa e ci ringraziamo a vicenda. Scopriamo che l’aereo ha ben tre ore di ritardo a causa della fitta nebbia che, dicono, grava su Dehli. La partenza inizialmente prevista alle 15.30 avviene finalmente alle 18. La compagnia aerea è la Jet Airlines e l’aereo è nuovissimo, il servizio è ottimo ed il pasto servito da delle bellissime hostess è degno dei migliori ristoranti. E pensare che io credevo di volare con una compagnia scalcinata!
Prima dell’imbarco tutti veniamo accuratamente perquisiti, le donne da una donna, ovviamente, e dietro un paravento, mentre gli uomini da un uomo e senza paravento. Anche il bagaglio a mano viene aperto a tutti ed ispezionato. Si sapeva che ci fosse un elevato rischio di attentati da parte del gruppo che rivendica la separazione del Kashmir, ma è la prima volta che mi capita di veder perquisite tutte le persone indistintamente. Atterriamo finalmente a Dehli ed un ragazzo con il nostro nome scritto su un cartello ci sta aspettando per portarci al Singh Palace Hotel che a dispetto del nome è decisamente squallido anche se è pulito. Anche la stanza è piuttosto basic, ed il personale è di una gentilezza martellante che dà persino ai nervi. Bussano alla porta per chiedere se serve qualche cosa, telefonano per vedere se vogliamo il the (a pagamento, beninteso)…

Il giorno seguente, dopo una sofferta colazione (peraltro già inclusa nel prezzo), alle 8 di mattina un altro ragazzo ancora ci accompagna in aeroporto. Questa volta voliamo con la Sahara Airlines e la destinazione è Guwahati dove si tiene il Congresso Internazionale al quale partecipo. Anche questa volta c’è un ritardo dovuto alla nebbia e si è sottoposti alla solita accurata perquisizione. Il decollo avviene solo dopo un’ora dall’imbarco perché nel frattempo la nebbia si è infittita nuovamente. Finalmente decolliamo con un ritardo complessivo di tre ore. Il volo dura un’ora e tre quarti e per gran parte di questo si viaggia costeggiando la catena himalajana. E’ molto emozionante vedere le cime tanto alte e si distingue benissimo l’Everest. Finalmente raggiungiamo Guwahati. Questa città si trova sulle rive del fiume Brahmaputra che in quel punto è talmente ampio da assomigliare più ad un lago che a un fiume.


Arrivati, un taxi ci porta al Dynasty Hotel. In breve disfiamo le valigie e poi facciamo chiamare un altro taxi per raggiungere la sede del Congresso. Purtroppo anche a Guwahati lungo la strada si assiste alle consuete scene di miseria con le persone che dormono sdraiate lungo i marciapiedi. L’inaugurazione del Congresso è inizialmente piuttosto fastosa: in un tendone simile a quelli del circo ci sono varie esibizioni di ballerini ed acrobati molto bravi per circa due ore. Il tutto è talmente bello e ben organizzato che farebbe ben sperare per la successiva cena di gala che…sorpresa, consiste invece in un buffet all’aperto in un prato fangosissimo. Ed il cibo lo si raggiunge solo dopo aver fatto una fila chilometrica (probabilmente si è sparsa la voce ed è venuta a cenare gratis la gente di tutta la zona). Dimenticavo di dire che tanto per completare l’opera si deve mangiare in piedi in mezzo al fango cercando di destreggiarsi in qualche modo tenendo in equilibrio il piatto in plastica e il bicchiere pure in plastica che si può riempire (solo di acqua) da un contenitore posto in mezzo alla mota… La prendiamo sul ridere, soprattutto pensando a come l’avrebbero presa tanti miei colleghi abituati a ben altre cena di gala. Il ritorno in hotel è con il pullman dell’organizzazione che è ottimistico definire stravecchio e a pezzi.

Il mattino dopo ho l’esposizione del mio poster. Lo appendo nel posto a me riservato e noto con sorpresa che sono l’unica donna che espone quella mattina. Mi posiziono vicino al poster con il mio rigoroso tailleur nero e badge al collo con tanto di nome, cercando di assumere anche un’aria professionale. Invano: non vengo minimamente considerata da nessuno degli uomini (per lo più di origine indiana) interessati all’argomento della mia ricerca e che invece si rivolgono a mio marito che è in piedi a pochi passi da me, con aria annoiata, abiti casual e videocamera appesa al collo… Da non credere! E la scena si ripete, non una, ma almeno 15 volte!!!! Questo credo è emblematico della mentalità indiana: la donna non è minimamente considerata, ad esempio non viene neppure servita per prima al ristorante. Solo dopo che mio marito ha gentilmente spiegato che sono io l’autore di quel lavoro, solo allora, con aria incredula si rivolgono a me che faccio una grandissima fatica per non mandarli cordialmente… Finita questa farsa tra il comico e l’irritante e dopo aver dato un’occhiata ai lavori altrui ce ne torniamo in Hotel con un taxi.
Usciamo dall’albergo e cominciamo a gironzolare per le vie adiacenti. Non c’è molto da vedere ed inoltre girando per strada abbiamo tutti gli occhi addosso dato che non c’è l’ombra di un bianco. Guwahati è un posto assolutamente non turistico e si capisce, perché veniamo guardati con molta curiosità, in particolare io, probabilmente anche a causa del colore dei capelli, desto un interesse che definirei imbarazzante. Siccome la cosa comincia ad infastidirci decidiamo di prendere un taxi e di recarci all’Handloom Expo che avevamo adocchiato per strada nel tragitto dall’aeroporto all’hotel: si tratta di una esposizione finanziata e sponsorizzata dal governo per promuovere l’esportazione dei prodotti manifatturieri nelle regioni interne dell’India. Ci sono tante belle cosine, comperiamo una sciarpa ed una camicia molto bella per fare dei regali e ritorniamo in hotel, non prima di aver fatto un altro giretto nei dintorni. La cena nel ristorante Tandoor è fantastica: c’è una bella atmosfera con un gruppo indiano che suona e canta. Anche cibo e servizio sono impeccabili ed il conto è al solito bassissimo.

Il giorno seguente, non essendoci grosse attrazioni nella zona, optiamo per una visita all’Assan State Zoo: un immenso parco adibito a zoo dove i locali portano i bambini per una scampagnata. Mai idea poteva essere più stupida: dal momento in cui varchiamo il cancello diventiamo noi la maggior attrazione dello zoo perché TUTTI, ma proprio tutti, grandi e piccini, si girano a guardarci e ci indicano come se fossimo degli extraterrestri. Alcuni ci chiedono da dove veniamo…perché siamo lì…se ci piace l’India…insomma proviamo quello che probabilmente succederebbe ad un marziano se di colpo si trovasse nel centro di Napoli!!!!! Facciamo finta di nulla, ma in realtà è una situazione paradossale. Lo zoo è molto grande e per vederlo bene ci vorrebbe una giornata. Ci sono moltissimi animali, vediamo ippopotami, giraffe, un rinoceronte bianco, delle tigri, orsi neri, scimmie urlatrici ed anche un particolare leopardo a macchie che, tanto per non smentire la tradizione, non riusciamo a vedere perché sta dormendo nella sua tana. Erano anni che non vedevamo degli animali rinchiusi in uno zoo perché di solito preferiamo vederli nel loro habitat naturale, ma sembra che non stiano poi tanto male: se non altro hanno da mangiare, cosa che in India non è da sottovalutare.
Fuggiamo dallo zoo, recuperiamo i bagagli in hotel e ci facciamo portare in aeroporto dove abbiamo il volo per Dehli che stranamente è in perfetto orario. Arriviamo che è ormai notte, ma un nuovo autista ci sta aspettando e ci riporta, ahimè, ancora al Singh Palace Hotel dove la servitù fa ancora le solite manfrine per avere la mancia.

Alle 9 in punto il nostro autista ci porta al Forte Rosso, costruito all’epoca dei Moghul. Parcheggiamo a poca distanza e raggiungiamo il forte attraversando l’enorme mercato in cui si vendono vestiti e scarpe. Immaginate un mercato italiano e moltiplicate per 100 la confusione!!!!! Le mura del forte sono in arenaria rossa e all’entrata ci sono tanti negozietti che vendono le solite carabattole. All’interno ci sono diversi begli edifici con decori ed intarsi e due musei che visitiamo annoiati: uno è solo un’esposizione di armi, mentre l’altro contiene una serie di dipinti e di foto. La tappa successiva è l’immenso Gandhi Memorial Museum dove, ovviamente è sepolto il grande Mahatma. Pranziamo allo Splash, classico locale per turisti e dopo pranzo andiamo all’India Gate, una copia dell’Arco di Trionfo che si trova a Parigi e che qui in India funge da monumento ai caduti di tutte le guerre indiane.

La seconda tappa è il Vecchio Forte dove ci sono più che altro dei gran bei giardini dove la popolazione locale ama trascorrere la Domenica. Si ripete la scena già vista allo zoo di Guwahati: non ci sono altri bianchi all’infuori di noi e abbiamo tutti gli occhi addosso. Succede di tutto: ci sono persone molto carine che si avvicinano solo per salutarci, ci sono bambini che ci sorridono, ci sono altri bambini che invece chiedono di essere fotografati e pagati per questo e, per finire, veniamo pure importunati da un gruppo di ragazzini che mio marito tenta invano di allontanare educatamente e che se ne vanno solo dopo un mio perentorio “Now I am fed up, stop!” che urlo loro con un tono ed un’espressione non proprio amichevoli!
L’ultima tappa è finalmente l’edificio che mi interessa di più: il Bahai Temple. Non ha nessun valore storico, ma è molto famoso per avere la forma di un fiore di loto e bisogna dire che visto da lontano incanta. Si cena tutti e tre al Rodeo, bellissimo locale che si trova a Connaught Place. Fantastica la cucina, sia messicana che indiana e bellissimo l’arredamento e l’atmosfera.

Il mattino successivo è ormai arrivato il giorno della partenza: alle 9.00, puntualissimo, il nostro aereo decolla per Monaco abbandonando il suolo indiano, ma un pezzo d’India verrà per sempre via con me.

edificio indiano

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