Lasciato il complesso del Qutub Minar, passiamo di fronte al Lotus Temple, un tempio a forma del sacro fiore del loto, che però non possiamo visitare perché chiude al tramonto.
Decidiamo invece di visitare la Gurdwara Bangla Sahib (gurudwara significa "la via del guru"), un importante tempio sikh sormontato da cupole dorate considerato il più importante dell'India dopo il Tempio d'oro di Amristar. Entriamo nel tempio, affollato di fedeli per la cerimonia religiosa, togliendoci le scarpe e coprendoci il capo in segno di rispetto. Ci viene data una ciotola contenente la karah prasad, un'offerta di cibo a base di semolino dolce, acqua e burro. Attraverso gli altoparlanti viene diffusa la voce del Maestro che legge, salmodiandoli, i versi in sanscrito contenuti nel Guru Granth Sahib, il libro sacro dei sikh.
Aleggia nell'aria un forte senso di spiritualità e devo dire che l'atmosfera è resa particolarmente suggestiva dalla luna che si staglia fra le cupole dorate del tempio. Al termine della cerimonia passiamo di fronte ad un piccolo tempietto dove pensiamo di consegnare la nostra offerta; invece, ci viene tolta con un mestolo una buona parte della karad prasad, che viene versata in una grande pentola, dalla quale ci viene riversata una parte più piccola dello stesso cibo. Credo voglia simboleggiare una sorta di condivisione, ma mi viene in mente anche la cerimonia giapponese del thè che si svolge il primo giorno dell'anno, nella quale ognuno deve bere dalla tazza un sorso di thè in quantità inferiore a quella versata, per lasciare quanto resta all'Universo, ovvero a chi ne ha più bisogno.
Si è fatta ormai sera e, stanchi ma arricchiti da quest'ultima esperienza, rientriamo nel nostro Hotel, dove decidiamo di concederci una buona cena a base di "dal makhani" (un delizioso piatto speziato di lenticchie in una salsa cremosa composta da garam masala, semi di cumino, coriandolo, panna, curcuma,zenzero, peperoncino, passata di pomodoro) accompagnato da riso basmati, "aloo paratha" (patate con burro fuso, zenzero e spezie varie) e "pollo tandoori". Prima di addormentarmi, rifletto sulle impressioni dell''impatto avuto con Delhi, una metropoli con oltre 20 milioni di abitanti, caratterizzata da evidenti contraddizioni.
Abbiamo avuto modo di incontrare zone residenziali pulite, ordinate e ricche di verde (in particolare ci ha colpito la zona delle ambasciate: un lunghissimo viale alberato con ai lati le residenze delle varie ambasciate), ma anche zone d'ombra dove la povertà rappresentata dagli slum, insediamenti di baracche fatiscenti e malsane, è ben radicata. Non si può descrivere facilmente l'impressione che si prova nell'osservare ciò che dal finestrino dell'auto scorre di fronte ai nostri occhi, la fatica quotidiana del vivere per sopravvivere. 8
Venerdì 21 settembre
Appuntamento con il nostro autista Mohan alle 7,30: ci attende il trasferimento a Jaipur.
Sono 258 km. che per le strade dell'India significano circa 6 ore. Molti tratti stradali sono dissestati al limite della praticabilità e soprattutto percorsi da un numero incredibile di camion, mentre l'attraversamento dei villaggi è un continuo slalom fra vacche, capre, cani, bufali, carretti, tuc-tuc, ciclo risciò, e soprattutto di persone che attraversano all'improvviso, incuranti del rischio di essere travolte da qualche auto o camion. Il sistema viabilistico indiano è caratterizzato da una assoluta anarchia: i mezzi dovrebbero viaggiare a sinistra mentre in realtà viaggiano anche in senso contrario e sorpassano secondo un proprio codice personale assecondando la propria convenienza, anziché le regole stradali. Guidare, per noi europei, sarebbe una vera e propria avventura aperta ad ogni rischio!
Arriviamo a Jaipur poco dopo le 13,00, ma abbiamo una brutta sorpresa perché l'Hotel che ci è stato prenotato, Shahpura House, è situato in una zona isolata della città (si tratta di un albergo d'epoca), ma soprattutto le stanze sono poco accoglienti (drappi e velluti sanno un po' di vecchiume) ed il proprietario piuttosto scostante. Dinda non se lo fa dire due volte e invita fermamente Mohan a chiamare subito l'Agenziache ci ha organizzato il tour (la Popular India) per trovarci una sistemazione più idonea. Detto fatto, ci trasferiamo all'Hotel Royal Orchid, decisamente migliore, anche perché più moderno e pulito. Neanche il tempo di disfare le valige, che già siamo pronti ad iniziare la conoscenza con quella che viene chiamata "la città rosa" (perché nel 1876 il maharaja Ram Singh fece dipingere di rosa tutta la città vecchia per dare il benvenuto al principe di Galles (il futuro re Edoardo VII) ed è considerata la più sgargiante e pittoresca di tutto il Rajasthan.
Il nostro autista Mohan, essendo di Jaipur, la conosce bene e ci consiglia di iniziare la visita dal Sisodia Maharani Garden, un incantevole palazzo fatto costruire dal maraja Sawai Jai Singh in onoredella regina Sisodia di Udaipur. Il giardino, incentrato sul tema degli eterni amanti Radha e Krishna, è considerato un simbolo d'amore grazie anche alle splendide decorazioni di arbusti profumati ed alle logge e terrazzi realizzati secondo lo stile architettonico Mughal. 9Dopo questa romantica visita, ci dirigiamo al Surya Mandir Thikana, un luogo apparentemente desolato, ma in realtà estremamente suggestivo, arroccato fra le pareti a strapiombo di una valle rocciosa.
Percorriamo un sentiero che ci porta in una piccola vallata dove si affacciano una serie ditempli popolati da centinaia di scimmie, dai baldanzosi macachi ai più socievoli langur. Una specie di sadhu vestito di arancione mi invita a visitare un piccolo tempietto dedicato a Shiva per ottenere una benedizione ed in cambio di una offerta ottengo anche di farmi scattare una foto! Salendo alcune scale, raggiungiamo una prima cisterna riservata alle donne per le loro abluzioni; più su c'è una secondacisterna per gli uomini, mentre ancora più in alto c'è una terza cisterna riservata ai bramini, che però quando arriviamo non è agibile, perché la stanno ripulendo dal fango.
Aleggia nell'aria un senso di pace e serenità (a parte le scimmie che vanno continuamente su e giù lungo le scale) e sicuramente è un posto che si presta in modo particolare per pratiche spirituali. C'è ancora un po' di tempo ed allora ci dirigiamo per una breve visita al Tempio di Shiva. Lasciamo, come sempre, le nostre scarpe all'ingresso ed entriamo a piedi scalzi nel tempio, dove Mohan ci spiega il significato delle varie sculture e raffigurazioni. Scopriamo che egli è un devoto praticante, aperto anche alla conoscenza di altre correnti religiose hindu, come ad esempio quella dei sikh, cui non disdegna di avvicinarsi. Ci facciamo lasciare da Mohan all'Handi Restaurant, perché abbiamo letto sulla Lonely Planet che hanno dei buoni piatti della cucina mughali. Ordiniamo pollo tandoori, riso speziato, dhal makhani e mattar paneer: il cibo è discreto, ma niente di eccezionale. Rientriamo in hotel con un tuc-tuc e c'è il tempo solo per.andare a dormire.
Il racconto continua...